Chi sanziona le pratiche commerciali scorrette?

Sentenza Adunanza Plenaria Consiglio di Stato n. 3 del 09/02/2016

Published On: 29 Novembre 2024|Categories: Diritto Civile e Diritto Commerciale|

L’Adunanza pleanaria del Consiglio di Stato è intervenuta, con due decisioni, la 3 e la 4 (resa disponibile in allegato) entrambe del 9 febbraio 2016, per risolvere alcune questioni poste sul riparto di competenze tra Autorità garante della concorrenza e del mercato e singole autorità settoriali.
In particolare, nei casi in rassegna, la rimessione all’Adunanza era sorta da una questione molto nota e di quotidiano “consumo”: l’attivazione da parte dei gestori telefonici di servizi di navigazione in internet e di segreteria telefonica sulle SIM vendute senza aver previamente acquisito il consenso del consumatore e senza averlo reso edotto dell’esistenza della preimpostazione di tali servizi e della loro onerosità, così esponendolo ad eventuali addebiti inconsapevoli connessi alla navigazione internet e al servizio di segreteria. Questa condotta è stata sanzionata dall’Antitrust in quanto ritenuta “idonea a determinare un indebito condizionamento tale da limitare considerevolmente, e in alcuni casi addirittura escludere, la libertà di scelta degli utenti in ordine all’utilizzo e al pagamento dei servizi reimpostati”.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con due ordinanze, la 4351 e la 4352 del 18 settembre 2015, n. 4352 aveva quindi posto all’Adunanza Plenaria la questione se l’articolo 27, comma 1-bis, del Codice del consumo dovesse intendersi come norma attributiva di una competenza esclusiva all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di pratiche commerciali scorrette, anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea, da ritenersi idonee a reprimere il comportamento anticoncorrenziale, sia con riguardo alla completezza ed esaustività della disciplina, sia con riguardo ai poteri sanzionatori, inibitori e conformativi attribuiti all’Autorità di regolazione. Chiedendo altresì – in caso affermativo – se la circostanza che lo jus superveniens avesse attribuito alla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la competenza all’esercizio del potere sanzionatorio in materia di pratiche commerciali scorrette comporti il venir meno dell’interesse alla decisione in ordine alla censura di incompetenza – formulata con riguardo alla sanzione adottata da tale Autorità nel precedente regime – anche nell’ipotesi in cui la nuova norma abbia aggravato il procedimento di irrogazione della sanzione con la previsione della necessaria acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione.
L’Adunanza Plenaria ha ritenuto di poter risolvere la questione relativa alla competenza dell’Autorità appellante (cui entrambi i quesiti, sostanzialmente, fanno riferimento), valorizzando nel caso in esame le condotte in specifico contestate.
Più nel dettaglio, ha affermato che la competenza ad irrogare la sanzione per “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” è sempre individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
A maggior chiarimento del rapporto tra i settori sottoposti alle diverse Autorità di regolazione, la pronuncia evidenzia che, nel nostro sistema, mentre la pratica commerciale aggressiva è inequivocabilmente attratta nell’area di competenza dell’Autorità Antitrust, la violazione degli obblighi informativi è invece, di per sé, suscettibile di sanzione da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Tuttavia, l’inosservanza di obblighi imposti dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dalla normativa ad esso riferibile può integrare una condotta anticoncorrenziale, specificamente pratiche commerciali aggressive, come nel caso di servizi telefonici reimpostati. Ora, sebbene la violazione degli obblighi informativi di per sé non sia sufficiente ad integrare la fattispecie di illecito concorrenziale, ricorre un’ipotesi di specialità per progressione di condotte lesive qualora, muovendo dalla violazione di meri obblighi informativi, si realizzi una pratica anticoncorrenziale vietata, ben più grave per entità e per disvalore sociale, ovvero di una pratica commerciale aggressiva: l’esistenza di un condizionamento tale da limitare considerevolmente, e in alcuni casi addirittura escludere, la libertà di scelta degli utenti in ordine all’utilizzo e al pagamento dei servizi reimpostati e, per conseguenza, ritenere integrata la condotta del “pagamento immediato o differito di prodotti che il consumatore non ha richiesto” che costituisce, ai sensi dell’art. 26 del Codice del consumo citato, “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva”.
Interessante – sul punto dei rapporti tra Unione Europea e ordinamento nazionale – la precisazione che l’Adunanza Plenaria esprime, ritenendo di dovere parzialmente ritornare sulle sue decisioni da 11 a 16-2012, optando per un revirement parziale delle medesime nella misura in cui esse possano essere lette come mera applicazione del criterio di specialità per settori e non per fattispecie concrete. A tale revirement il Consiglio è indotto per fornire risposta alla procedura di infrazione con cui la Commissione Europea nel 2013 aveva contestato l’inadeguata applicazione da parte italiana della direttiva 2005/29/UE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e della direttiva al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, in sostanza, ritenendo non correttamente applicato nell’ordinamento italiano il principio della “lex specialis” contenuto nella direttiva, che regola il coordinamento tra tale disciplina (a carattere transettoriale) e le normative specifiche di settore.
L’Adunanza precisa infatti che la procedura di infrazione – aperta sul presupposto che il Consiglio di Stato nelle decisioni citate avesse completamente integralmente e senza eccezioni adottato lo schema della specialità per settori, presupposto per altro erroneo come si è visto, poiché una tale lettura ermeneutica da parte della Commissione Europea eccessivamente rigida e schematica avrebbe obliterato il contenuto articolato e complesso delle pronunce – induce comunque ad un ripensamento di tale schema, che non può che essere quello della specialità basato sul raffronto tra le fattispecie, secondo il collaudato principio di specialità conosciuto nel nostro ordinamento che assurge a criterio generale di regolazione dei rapporti tra norme sanzionatorie, penali e amministrative, in tutte le materie disciplinate dalla legge nel nostro ordinamento ove si verifichino conflitti apparenti di norme e sia necessario, pertanto, risolvere le antinomie giuridiche.
Pertanto, ove disposizioni appartenenti ai due diversi ambiti convergano sul medesimo fatto se ne applica una sola, quella speciale, individuata in base ai criteri noti nel nostro ordinamento e in modo compatibile, come è ovvio, con l’ordinamento comunitario nella specifica materia di pertinenza comunitaria. Nel caso di specie, e sempre ai fini della competenza ad irrogare la sanzione, è evidente che l’art. 3, par. 4, della direttiva 2005/29/UE impone che vi sia sempre l’intervento di un’Autorità indipendente competente a far rispettare la predetta direttiva, sanzionando all’uopo le pratiche commerciali sleali anche nel settore delle comunicazioni elettroniche. L’Autorità indipendente menzionata dalla direttiva è, nel nostro sistema nazionale, l’Autorità Antitrust.
Ulteriormente argomentando con riferimento al secondo profilo del quesito posto infine, l’Adunanza aggiunge che la norma inserita (col D.lgs 21/2014 recante l’attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori) nel comma 1-bis dell’art. 27 del codice del consumo con la quale si attribuisce in via esclusiva all’Antitrust, acquisito il parere dell’Autorità di settore, la competenza a intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta – con l’obiettivo di superare la citata procedura d’infrazione del 2013 – ha comunque una portata esclusivamente di interpretazione autentica, atteso che, come detto, anche alla luce di una corretta analisi ermeneutica delle sentenze dell’Adunanza Plenaria da 11 a 16-2012 e dell’applicazione dei principi da essa scaturenti è indubbia la competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette nel caso oggetto del presente giudizio già in base alla normativa antecedente che l’art. 1, comma 6, lett. a), d. lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 si è limitata, per quanto qui rileva, soltanto a confermare.
Col che, l’Adunanza si esime dall’esaminare il tema del principio del “tempus regit actum”, poiché non viene meno l’interesse alla pronuncia di annullamento per incompetenza dell’Antitrust, dovendo essere invece direttamente respinta la censura di incompetenza.

Avvocato Giorgia Motta e Avvocato Valentina Russo

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